Ricorso della regione autonoma Trentino-Alto Adige, in persona del
 presidente  della  giunta  regionale   pro-tempore   dott.   Tarcisio
 Andreolli,  giusta delibera della giunta del 25 gennaio 1990, n. 162,
 rappresentata e difesa - in virtu' di mandato speciale del 26 gennaio
 1990  per  atto del segretario della giunta avv. Franco Visetti (rep.
 n. 2740) - dall'avv. prof. Sergio  Panunzio,  e  presso  quest'ultimo
 elettivamente  domiciliata  in  Roma, piazza Borghese n. 3, contro la
 Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente  del
 Consiglio  in  carica,  per  la  dichiarazione di incostituzionalita'
 degli artt. 18, 19 e 20 del d.-l. 28 dicembre 1989, n.  415,  recante
 "Norme  urgenti in materia di finanza locale e di rapporti finanziari
 tra lo Stato e le regioni, nonche' disposizioni varie".
                               F A T T O
    E'  ben  noto  che  l'autonomia  delle regioni e delle province di
 Trento  e  Bolzano  trova  il  suo  essenziale  supporto  nella  loro
 autonomia  finanziaria.  Onde  -  come  e' stato affermato da codesta
 ecc.ma Corte fin dalla sentenza n. 21/1956 - le  regioni  e  province
 autonome  hanno  un "diritto costituzionalmente garantito" a disporre
 dei mezzi finanziari occorrenti per le spese necessarie ad  adempiere
 alle  loro  normali  funzioni. Un diritto che, nel caso della regione
 ricorrente, trova il suo fondamento (oltre che  nell'art.  119  della
 Costituzione)  nello  statuto  speciale  della  regione Trentino-Alto
 Adige (d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670), spec. artt. 69 e segg. (titolo
 sesto)  -  come  di  recente  modificati  ed integrati dalla legge 30
 novembre 1989, n. 386 - anche in relazione agli artt. 4 e 6, e  nelle
 relative norme d'attuazione.
    Se  poi  si  considera  come  anche  per  le  regioni ad autonomia
 speciale e per le due procince  autonome  di  Trento  e  Bolzano,  la
 massima  parte  delle  loro risorse finanziarie sia costituita da una
 finanza "derivata", e cioe' consistente nei  periodici  trasferimenti
 di  risorse  da  parte dello Stato, ben si comprende come non solo la
 quantita', ma anche  la  regolarita',  la  tempestivita'  e,  in  una
 parola,  la  affidabilita'  di  tali trasferimenti sia essenziale per
 garantire alle regioni e province autonome  una  effettiva  autonomia
 nell'esercizio  delle  loro  funzioni,  il  buon andamento delle loro
 amministrazioni  e  dei  servizi  pubblici  di  loro  competenza,  la
 programmabilita' della loro azione.
    E'  esemplare, a questo rigurdo, il caso delle attivita' regionali
 e provinciali in materia di  sanita',  la  cui  spesa  e'  alimentata
 essenzialmente   dai  trasferimenti  annuali  provenienti  dal  fondo
 sanitario nazionale. Proprio in  relazione  a  tale  settore  codesta
 ecc.ma  Corte ha piu' volte sottolineato la necessita' (derivante dal
 rispetto dei valori costituzionali) che gli interventi  dello  Stato,
 ivi  compresi  quelli  finanziari,  siano improntati ad organicita' e
 stabilita'.  In  particolare  nella  sentenza  n.  307/1983  essa  ha
 rilevato  come  "il  susseguirsi  di  anno in anno di provvedimenti a
 carattere contingente, in  deroga  alla  disciplina  ordinaria  renda
 quanto  mai disorganico e provvisorio il quadro attuale della finanza
 regionale"; e poi nella sentenza n.  245/1984  -  a  proposito  delle
 disposizioni  in  materia sanitaria contenute nella legge finanziaria
 1984 - osserva come per dare una disciplina organica e per assicurare
 efficienza al servizio sanitario nazionale "non servono allo scopo le
 leggi finanziarie, ne' gli altri provvedimenti di carattere urgente o
 comunque  contingente:  la'  dove  sono  in  gioco funzioni e diritti
 costituzionalmente previsti e garantiti,  e'  infatti  indispensabile
 superare  la  prospettiva del puro contenimento della spesa pubblica,
 per assicurare la certezza del diritto ed  il  buon  andamento  delle
 pubbliche amministrazioni, mediante discipline coerenti e destinate a
 durare nel tempo".
    Tali  ammonimenti, come e' evidente, hanno un valore che va' al di
 la' del solo settore sanitario,  poiche'  il  problema  cui  essi  si
 riferiscono  riguarda  in  genere  tutte  le  attivita' di competenza
 regionale e provinciale, che risultino condizionate da  scelte  dello
 Stato  e  da trasferimenti finanziari da questo operati. Ma si tratta
 di ammonimenti ai queli lo Stato e' stato  sino  ad  oggi  sordo.  In
 particolare  per  quanto riguarda il servizio e la spesa sanitaria lo
 Stato ha continuato ad emanare tentativi di riforme peraltro abortite
 (i  dd.-ll.  25  marzo  1989,  n.  111, e 29 maggio 1989, n. 189, non
 convertiti dal Parlamento) ed interventi "tampone" di  vario  genere,
 ma  per lo piu' adottati con lo strumento improprio del decreto-legge
 (nonostante i moniti che, anche a proposito del cattivo uso  di  tale
 strumento,  sono  stati  fatti  da codesta ecc.ma Corte - sentenza n.
 245/1984 - e nonostante la rigorosa disciplina oggi  stabilita  dalla
 legge n. 400/1988).
    E'  una strada sbagliata, questa, sulla quale lo Stato ha compiuto
 di recente un ulteriore passo, assai grave. Ci si riferisce, appunto,
 al  d.-l.  28  dicembre  1989,  n.  415  (pubblicato  nella  Gazzetta
 Ufficiale n. 303 del 30 dicembre 1989) di cui al presente  atto.  Non
 riuscendo,  da  un lato, a portare avanti in Parlamento il disegno di
 legge sulla  autonomia  finanziaria  delle  regioni  e  sui  rapporti
 finanziari  fra  lo Stato e le regioni e province autonome (una delle
 leggi "di accompagnamento" della legge finanziaria  1990)  e  volendo
 comunque realizzare in qualche modo dei tagli alla spesa pubblica, il
 Governo ha pensato bene di  adottare  un  provvedimento  -  quale  e'
 appunto  il  suddetto decreto-legge - che, come ora si vedra', e' per
 vari aspetti censurabile.
    Di  tale decreto-legge viene in evidenza, in primo luogo l'art. 18
 ("Riduzione di fondi per le regioni  a  statuto  speciale  e  per  le
 province  autonome").  In  particolare al primo comma esso stabilisce
 che a partire dal 1990 cessa la corresponsione alle  sole  regioni  a
 statuto  speciale ed alle province autonome di Trento e di Bolzano di
 una serie di fondi, e cioe':  il  fondo  comune  per  i  servizi  dei
 consultori  familiari,  ivi compresi quelli relativi all'interruzione
 volontaria della gravidanza (di cui all'art. 5 della legge 29  luglio
 1975,  n. 405, e art. 3 della legge 22 maggio 1978, n. 194), il fondo
 speciale per l'esercizio delle funzioni gia' ex  O.N.M.I.  trasferite
 (di  cui  all'art. 10 della legge 23 dicembre 1975, n. 698), il fondo
 per gli asili nido (di cui all'art. 1 della legge 29  novembre  1977,
 n.  891,  ed  art. 2 della legge 6 dicembre 1971, n. 1044). Sempre lo
 stesso primo comma dell'art. 18, nella sua ultima  parte,  stabilisce
 che  "Le predette regioni sono altresi' escluse dal riparto del fondo
 nazionale per il ripiano dei disavanzi di esercizio delle aziende  di
 trasporto  di  cui  all'art.  9 della legge 10 aprile 1981, n. 151, e
 provvedono alla concessione dei contributi alle aziende di  trasporto
 con  propri  mezzi finanziari. Restano comunque fermi per le medesime
 regioni i principi di cui alla legge 10 aprile 1981, n. 151".
    Il  successivo art. 19 del decreto-legge reca il titolo "Riduzione
 del Fondo sanitario nazionale per le regioni a statuto speciale e per
 le  province  autonome".  Esso  al  primo  comma  stabilisce  che  "A
 decorrere dall'anno 1990 alle  regioni  a  statuto  speciale  e  alle
 province  autonome  di  Trento  e di Bolzano le assegnazioni di parte
 corrente del Fondo sanitario nazionale sono ridotte, tenuto conto del
 livello  delle  compartecipazioni  ai  tributi statali risultanti dai
 rispettivi ordinamenti,  del  20  per  cento  per  la  regione  Valle
 d'Aosta,  e  per  le province autonome di Trento e di Bolzano, del 10
 per cento per le regioni Sicilia e Friuli-Venezia Giulia e del 5  per
 cento per la regione Sardegna".
    Il  secondo comma dello stesso art. 19 stabilisce poi che "Ai fini
 della ripartizione del Fondo sanitario nazionale di parte corrente il
 C.I.P.E., per l'anno 1990, fa riferimento all'importo complessivo, al
 lordo delle riduzioni di cui al primo comma,  valutate  in  lire  970
 miliardi".
    Infine  vi  e'  l'art.  20,  che  reca il titolo "Esclusione delle
 regioni a statuto speciale e delle province autonome da taluni  fondi
 settoriali".  Esso  cosi'  recita nel suo unico comma: " Le regioni a
 stauto speciale e le province autonome di Trento e  di  Bolzano  sono
 escluse, a partire dal 1990, dal riparto dei seguenti fondi:
       a)  fondo  per i programmi regionali di sviluppo a destinazione
 indistinta di cui all'art. 9 della legge 16 maggio 1970, n.  281,  al
 netto  della  quota spettante ai sensi della legge 30 maggio 1965, n.
 574;
       b)  fondo  per  l'attuazione  degli  interventi  programmati in
 agricoltura di cui all'art. 3, primo comma, della  legge  8  novembre
 1986,  n.  752,  al  netto delle somme spettanti ai sensi del secondo
 comma del predetto art. 3;
       c)  fondo per l'attuazione del piano forestale nazionale di cui
 all'art. 6 della legge 8 novembre 1986, n. 752;
       d)  fondo per gli interventi nel settore dei trasporti pubblici
 locali;
       e) fondo sanitario di conto capitale".
    Si  tratta, come e' evidente, di una disciplina sotto vari aspetti
 censurabile  e  lesiva  delle   autonomie   speciali,   regionali   e
 provinciali.  In  primo  luogo  perche'  essa costituisce un ennesimo
 esempio di quel tipo di intervento contingente e disorganico che  non
 e'  ammissibile  in  una  materia cosi' delicata e costituzionalmente
 rilevante. Inoltre perche' esso, operando dei tagli tanto consistenti
 quanto irrazionali ai trasferimenti finanziari riguardanti le regioni
 a statuto speciale e le province autonome di  Trento  e  Bolzano,  in
 relazione  ad  attivita' e spese che peraltro queste debbono comunque
 effettuare (per vincolo costituzionale o di legge dello Stato),  lede
 l'autonomia  degli  enti  stessi:  sia  quella finanziaria sia quella
 "funzionale" (costringendo in ogni caso gli  enti  a  coprire  quelle
 spese  sottraendo proprie risorse finanziarie ed altre destinazioni e
 comprimendo e pregiudicando il livello e la  qualita'  dell'esercizio
 delle  funzioni  e  dei  servizi).  Infine perche' i tagli sono stati
 effettuati solo a carico delle regioni ad autonomia speciale e  delle
 province autonome di Trento e Bolzano. A quest'ultimo riguardo non si
 puo' non osservare sin d'ora come il decreto-legge  manifesti  ancora
 una  volta un atteggiamento discriminatorio del Governo nei confronti
 delle autonomie speciali di per se' inammissibile, e  comunque  tanto
 piu'  censurabile  per  il  fatto  che, in tal modo, la "specialita'"
 delle autonomie in questione si traduce, anziche' - come deve  essere
 -  in  un  arricchimento di tali autonomie, in una compressione delle
 medesime,  che  e'   del   tutto   incompatibile   con   i   principi
 costituzionali.
    Pertanto la regione autonoma Trentino-Alto Adige si vede costretta
 ad impugnare  la  suddetta  disciplina  legislativa  per  i  seguenti
 modivi.
                             D I R I T T O
    La  esposizione  dei  motivi del presente ricorso necessita di una
 premessa.
    I fondi cui si riferisce la disciplina impugnata riguardano per la
 maggior parte le competenze delle province autonome di  Trento  e  di
 Bolzano  (  ex  artt. 8 e segg. dello statuto T.-A.A.) piu' che della
 regione Trentino-Alto Adige (artt.  4  e  segg.  dello  statuto).  Fa
 eccezione   il   fondo  per  i  programmi  regionali  di  sviluppo  a
 destinazione indistinta, di cui all'art. 20, lett. a), del  d.-l.  n.
 415/1989.
    Dunque,  per  quanto  concerne il Trentino-Alto Adige, le relative
 decurtazioni di trasferimenti finanziari colpiscono di regola le  due
 province autonome prima e piu' che la regione.
    Tuttavia,  il  fatto  che siano le due province autonome ad essere
 colpite "in prima battuta"  dalla  gran  parte  della  disciplina  in
 questione  non  significa  che  il  presente  ricorso  della  regione
 Trentino-Alto  Adige  possa  essere   rivolto   a   contestare   solo
 l'esclusione  della  medesima  dal fondo per i programmi regionali di
 sviluppo disposta dall'art. 20, lett. a). Ne' comporta che ad esso  -
 per  il  resto  -  possa  essere  riconosciuto  solo  il valore di un
 intervento effettuato dalla regione per manifestare una  solidarieta'
 politica  nei  confronti  delle  azioni  promosse - innanzi a codesta
 ecc.ma Corte - dalle due province autonome  e  da  altre  regioni  ad
 autonomia   speciale,  per  contrastare  in  modo  unitario  un  atto
 legislativo  che  e'  palesemente  diretto,  nel  suo  complesso,   a
 comprimere  e mortificare il suolo e la portata di tutte le autonomie
 speciali nel sistema regionale italiano.
    Invero  non  si  tratta  solo di questo. Vi e' piuttosto da tenere
 presente, in primo luogo, il nesso inscindibile, fondato  sul  comune
 statuto  di autonomia, che lega la regione e le due province autonome
 e che  si  manifesta  anche  "fisicamente"  nella  coincidenza  degli
 elementi  territoriali,  personali ed organizzativi dei tre enti: per
 cui i cittadini delle province autonome  sono  gli  stessi  cittadini
 della   regione,   il  territorio  provinciale  e'  al  tempo  stesso
 territorio regionale, i consiglieri provinciali sono al tempo  stesso
 consiglieri regionali.
    Al di la' della articolazione e distinzione delle varie competenze
 distribuite dallo statuto fra i tre enti, vi e' dunque fra  essi  una
 unitarieta'  ed inscindibilita' di interessi che si manifesta proprio
 in relazione a vicende come quella del decreto-legge  qui  impugnato.
 Come si vedra', i tagli finanziari da questo apportati a carico delle
 province autonome  comportato  inevitabilmente  un  abbassamento  del
 livello quantitativo e qualitativo dei relativi servizi ed interventi
 pubblici di competenza provinciale: sanita', trasporti, ecc. I  tagli
 comportano,  dunque,  conseguenze negative per la soddisfazione degli
 interessi e dei bisogni di soggetti che sono cittadini delle province
 autonome, ma che sono anche cittadini della regione.
    Insomma,  vi e' una unitarieta' o, comunque, una complementarieta'
 ed inscindibilita' di interessi (prima ancora che organizzativa)  fra
 gli  enti  che  non  puo'  non  trovare la sua espressione al livello
 regionale.
    Tanto  basta,  riteniamo,  a legittimare la regione, a proporre il
 presente ricorso. Legittimazione che trova del resto il suo  positivo
 fondamento in una norma speciale, quale l'art. 98, primo comma, dello
 statuto T.-A.A., che attribuisce alla regione il potere di  impugnare
 gli  atti  legislativi dello Stato non solo per lesione delle proprie
 particolari  "competenze"  -  secondo  la  formula  piu'  restrittiva
 impiegata  dal  comma successivo per i conflitti di attribuzione - ma
 per ogni "violazione del presente statuto". E non vi e' dubbio che la
 disciplina  qui  impugnata  violi  gravemente  le norme dello Statuto
 T.-A.A. (oltre che della Costituzione).
    E'  chiaro, tuttavia, che le censure formulabili dalla regione nei
 confronti  della  disciplina  impugnata  altre  non  possono  essere,
 essenzialmente,  che  le  medesime formulabili dalle stesse province.
 Quelle, cioe', che queste ultime hanno dedotto con  separti  ricorsi,
 proposti parallelamente innanzi a codesta ecc.ma Corte.
    Censure  che  pertanto con il presente atto vengono qui di seguito
 proposte anche dalla regione Trentino-Alto Adige.  Con  l'avvertenza,
 peraltro,  che con le censure concernenti in particolare l'esclusione
 dal fondo per i programmi regionali di sviluppo - disposta  dall'art.
 20,  lett.  a),  del  decreto-legge  impugnato  (infra,  n. 2.3) - la
 regione  deduce  una   violazione   della   propria   autonomia   che
 (diversamente  dalle  censure relative agli altri fondi) e' diretta e
 non gia' mediata dalla violazione delle autonomie provinciali.  Cosi'
 come  una  immediata  e  diretta lesione della autonomia regionale e'
 quella dedotta con il terzo motivo del presente ricorso,  concernente
 la  mancata  convocazione  del presidente della giunta regionale - ex
 art. 40, ultimo comma, dello statuto - alla seduta del Consiglio  dei
 Ministri del 22 dicembre 1989.
    1.   -   Violazione,  da  parte  dell'art.  19  del  decreto-legge
 impugnato, delle attribuzioni regionali e  provinciali  di  cui  agli
 artt.  4,  6, 8, 10, 16, 69 e segg. (titolo sesto, come modificato ed
 integrato dalla legge 30 novembre 1989, n. 386, spec. art.  5)  dello
 statuto speciale T.-A.A. e delle relative norme d'attuazione, nonche'
 degli artt. 3, 32, 81, 97, 116 e 119 della Costituzione.
    Il   "taglio"  dei  finanziamenti  (per  riduzione  o  esclusione)
 disposto  dalla  disciplina  legislativa  impugnata  a  carico  della
 regione  e  delle  province  autonome assune particolare gravita' per
 quanto riguarda i fondi relativi a  prestazioni  sanitarie:  sia  per
 l'entita'  dei  tagli,  sia  per  la essenzialita' e peculiarita' dei
 servizi su cui essi finiscono per incidere. Conviene  dunque  partire
 dall'art. 19 del decreto-legge inpugnato, il cui contenuto si e' gia'
 riportato in precedenza e che, come si e' visto, riduce  del  20%  le
 assegnazioni  alle  province  autonome della parte corrente del Fondo
 sanitario nazionale, di cui all'art. 51 della legge n. 833/1978.
    Un  aspetto  essenziale  della  disciplina  contenuta nell'art. 19
 impugnato - che, come poi si vedra', ricorre anche negli artt.  18  e
 20,   ma   che   per  la  spesa  sanitaria  di  cui  all'art.  19  e'
 particolarmente evidente - sta nel fatto che con tale  disciplina  lo
 Stato  riduce  alle  province  le  risorse  che ad essa sono peraltro
 necessarie al fine di effettuare prestazioni di servizi e correlative
 spese  obbligatorie per le provincie stesse: prestazioni e spese, del
 tutto "rigide" nella loro entita'  e,  comunque,  non  dipendenti  da
 autonome  scelte  regionali,  ma  piuttosto  da  determinazioni dello
 Stato.
    In  altri  termini,  con  tale  disciplina  si pone a carico delle
 province  la  spesa  sanitaria  senza  che  pero'  esse  abbiano  gli
 strumenti  per  controllarla  e  tanto  meno  ridurla; e quindi le si
 costringe a coprire il deficit risultante da tagli nei  trasferimenti
 del  Fondo  sanitario  destinato  a tali spese le risorse proprie che
 debbono quindi essere distolte dai  loro  impieghi,  cosi'  riducendo
 altri  tipi  di interventi provinciali, ostacolando l'esercizio delle
 normali  funzioni   delle   province,   impedendole   una   razionale
 programmazione  degli  interventi, sconvolgendo le stessse previsioni
 di bilancio.
    Che le province autonome non abbiano effettivi poteri di controllo
 sulla spesa sanitaria e' cosa sin troppo nota per  indugiare  qui  ad
 analitiche  dimostrazioni.  Salvo  ritornare  sul  punto in ulteriori
 scritti difensivi, basti per ora richiamare alcuni esempi. Per quanto
 riguarda  le  funzioni  ospedaliere, sia i livelli retributivi che in
 genere il trattamento del personale non dipendono dalle province  (ma
 sono  regolati  da  accordi  stipulati a livello nazionale); anche le
 spese per acquisti di beni  e  servizi  dipendono  essenzialmente  da
 necessita'  obiettive  e  dal livello dei prezzi. Per quanto riguarda
 l'assistenza farmaceutica spetta allo Stato il controllo  sui  prezzi
 dei  prodotti farmaceutici, l'inserimento nel prontuario terapeutico,
 la disciplina dei  tiket.  Anche  per  quanto  riguarda  l'assistenza
 specialistica  e la medicina di base e' a livello statale che vengono
 predisposte le convenzioni con  i  medici  privati.  Cosi'  come,  in
 genere,  e'  sempre  a  livello  statale  che  vengono  stabiliti gli
 standards dei servizi sanitari.
    Tutto cio, del resto, e' ben noto a codesta ecc.ma Corte, la quale
 gia' in passato (sentenze nn. 245/1984, e poi 452/1989)  ha  rilevato
 come  "non  si  puo'  presupporre  'che  le amministrazioni regionali
 portino  (.  .  .  )  l'effettiva  responsabilita'  degli   eventuali
 disavanzi  delle unita' sanitarie locali', in quanto gran parte della
 spesa sanitaria e, fra questa, gli oneri derivanti dalle prescrizioni
 mediche, si formano indipendentemente dalle scelte regionali (e dalle
 stesse deliberazioni degli organi di gestione delle unita'  sanitarie
 locali), essendo prevalentemente legati al soddisfacimento di diritti
 costituzionalmente garantiti e, quindi, essenzialmente  a  scelte  di
 ordine   generale   degli   organi   centrali   di   governo  dettate
 dall'esigenza di assicurare parita' di trattamento fra i  cittadini".
 Ed  ha  poi  ribadito  (sentenza  n.  452/1989) che la garanzia della
 autonomia delle regioni (e delle province autonome) "comporta che non
 possano  essere  addossati  al bilancio regionale (o provinciale) gli
 oneri derivanti da decisioni non imputabili alla  regione  stessa  (o
 alla  provincia autonoma) o che, comunque, dipendono dall'esigenza di
 tutelare interessi pubblici o diritti costituzionali  dei  cittadini,
 la  cui cura e' affidata dalla Costituzione soltanto in parte - e non
 certo quella essenziale - alla regione".
    E' appena il caso di osservare, a questo punto, che il senso delle
 osservazioni che precedono (e di quelle che seguiranno) non e'  certo
 quello  di  contestare la necessita' di un intervento dello Stato per
 il risanamento della spesa pubblica. Ne' si  ritiene,  evidentemente,
 che  le  regioni e le province autonome non debbano essere chiamate a
 sopportarne anch'esse l'onere in modo proporzionale. Il  problema  e'
 piuttosto  un  altro.  Ed  e'  che  l'onere  non puo' essere caricato
 esclusivamente sulle regioni a statuto speciale e sulle due  province
 di  Trento  e  Bolzano. E che se il Governo vuole risanare il deficit
 della spesa sanitaria lo dovra' fare, in primo luogo, riformandone in
 modo  organico - come e' di sua competenza - le strutture, i servizi,
 gli standards, la disciplina del personale del servizio sanitario, il
 tutto  in  modo  da  ridurre  le  spese;  e  solo a seguito di questo
 riducendo poi i relativi trasferimenti a tutte le regioni. Non invece
 - come pretenderebbe di fare il Governo con la disciplina impugnata -
 lasciando immutate la regolamentazione  del  servizio  e  la  entita'
 degli  oneri,  e  pero'  riducendo i relativi finanziamenti alle sole
 regioni a statuto speciale e province autonome, e  quindi  scaricando
 su  di  esse  (e  solo  su  di  esse) il costo e le conseguenze della
 manovra finanziaria.
    Una siffatta disciplina, che attribuisce alle regioni ad autonomia
 speciale ed alle province autonome la responsabilita' della spesa per
 un   servizio  volto  a  soddisfare  un  diritto  costituzionale  dei
 cittadini, senza fornire pero' ad esse i mezzi finanziari  necessari,
 ne'  strumenti  rilevanti  per il controllo ed il governo della spesa
 stessa, viola dunque, ad un tempo,  il  principio  costituzionale  di
 ragionevolezza  e quello di autonomia finanziaria della regione ed in
 particolare delle province autonome, specie (ma non solo) in  materia
 di  sanita'  (artt. 9, n. 10, e 16, e titolo sesto dello statuto); ed
 al tempo stesso viola il principio di copertura finanziaria stabilito
 dall'art.   81,  quarto  comma,  della  Costituzione.  Un  principio,
 quest'ultimo, che si estende anche alle spese accollate  dallo  Stato
 agli  enti  del  c.d.  settore  pubblico  allargato,  e  del quale e'
 puntuale espressione l'art. 27 della legge 5  agosto  1978,  n.  468,
 secondo  cui  "Le  leggi  che  comportano oneri, anche sotto forma di
 minori entrate, a carico dei bilanci degli enti di cui al  precedente
 art.  25  devono  contenere  la  previsione dell'onere stesso nonche'
 l'indicazione  della  copertura  finanziaria  riferita  ai   relativi
 bilanci annuali e pluriennali".
    La  fondatezza  di  tali  censure  trova  sostegno,  invero, nella
 giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte, che  in  piu'  occasioni  (ma
 spec.  con  le gia' citate sentenze nn. 245/1984 e 452/1989), proprio
 facendo leva sul necessario raccordo tra il governo del settore e  la
 responsabilita'    della    relativa    spesa    ha   dichiarato   la
 incostituzionalita' di norme legislative  statali  con  le  quali  si
 veniva  a  far  gravare  sui  bilanci  delle regioni e delle province
 autonome (senza disporre i corrispondenti  trasferimenti  di  risorse
 finanziarie)  spese  necessarie  per  il  funzionamento  del servizio
 sanitario nazionale derivanti da decisioni non imputabili peraltro  a
 tali  enti,  o comunque da essi non controllabili: cosi' costringendo
 le regioni stesse (e le province autonome)  a  prelevare  le  risorse
 necessarie  a colmare il deficit o dal fondo comune di cui all'art. 8
 della legge n. 281/1980 (per le regioni a statuto ordinario) o  dalle
 corrispondenti  entrate  di  parte  corrente  previste dai rispettivi
 ordinamenti (per le altre regioni a statuto speciale  e  le  province
 autonome) o comunque dalla finanza "propria".
    Riassumendo.    La   disciplina   stabilita   dall'art.   19   del
 decreto-legge impugnato e' dunque incostituzionale, in  primo  luogo,
 perche' essa viola il principio della copertura della spesa stabilita
 dall'art. 81, quarto comma, della Costituzione, come  esplicitato  ed
 attuato  anche  dall'art.  27 della legge n. 468/1978, in quanto essa
 accolla alle regioni ad autonomia speciale ed alle province  autonome
 nuove  spese  senza prevedere e fornirle i mezzi finanziari per farvi
 fronte.
    Cosi'  facendo  la  disciplina  impugnata  viola, al tempo stesso,
 l'autonomia finanziaria delle province in materia - in primo luogo di
 sanita'  (artt. 9, n. 10, e 16, e titolo sesto dello statuto, nonche'
 art. 119  della  Costituzione),  ma  anche  nelle  altre  materie  di
 competenza  propria (artt. 8 e 10 dello statuto). Cio' in quanto tale
 disciplina,  senza  tenere  minimamente  conto  delle   esigenze   di
 coordinamento della spesa statale con quella provinciale, scarica sul
 bilancio delle province spese di cui esse non hanno il governo, e che
 non  possono  da  esse  essere  sostenute altro che stornando proprie
 risorse finanziarie destinate ad altri settori; e, quindi,  riducendo
 le  capacita'  di  spesa  e  di intervento delle province anche nelle
 altre materie di propria competenza.
    Tale  disciplina appare ancora incostituzionale sotto un ulteriore
 profilo,  per  violazione  anche  degli  artt.  3,  32  e  116  della
 Costituzione.  In  modo del tutto irrazionale ed ingiustificato essa,
 infatti, discrimina due volte le province autonome, e con esse  anche
 la  regione  ricorrente. In primo luogo, e soprattutto, nei confronti
 delle regioni ad autonomia ordinaria che non subiscono  riduzioni  di
 assegnazioni  di quote del Fondo sanitario di parte corrente; ma gia'
 si e' detto all'inizio come tale discriminazione in peius, oltre  che
 inammissibile  in  se',  e' in contrasto proprio con le ragioni della
 specialita' delle autonomie delle province di Trento e di  Bolzano  e
 della  regione  ricorrente,  sancita  dallo statuto del Trentino-Alto
 Adige e, ancor prima, dall'art. 116 della Costituzione.  Una  seconda
 volta, poi, la discriminazione viene fatta dalla disciplina impugnata
 - sempre in modo del tutto arbitrario - nei confronti  delle  regioni
 Sicilia,  Friuli-Venezia Giulia e Sardegna, per le quali e' stabilita
 una riduzione di assegnazione assai minore (la meta',  o  addirittura
 un quarto).
    In tal modo, si badi, non si discrimina irragionevolmente solo fra
 enti, ma fra gli stessi cittadini  italiani,  a  seconda  della  loro
 residenza.  Poiche'  mentre  essi hanno tutti, egualmente, un diritto
 costituzionalmente garantito ad un eguale  trattamento  sanitario  da
 parte  delle  strutture  pubbliche, viceversa la disciplina impugnata
 (per quanto le regioni  e  province  autonome  da  essa  discriminate
 possono  cercare  di  far fronte ai nuovi oneri della spesa sanitaria
 trasferendovi altre risorse) non potra' non riflettersi negativamente
 sulla funzionalita' e qualita' dei servizi resi dalle strutture delle
 due province  autonome,  dando  cosi'  luogo  ad  una  ingiustificata
 differenziazione  di trattamento a scapito di cittadini della regione
 ricorrente.
    Infine,  le stesse considerazioni fatte da ultimo evidenziano come
 la disciplina in questione determini, altresi', una violazione  degli
 artt.  3  e  97  della  Costituzione, pregiudicando il buon andamento
 delle amministrazioni provinciali e  dei  servizi  pubblici  di  loro
 competenza.
    Tutti  i  surriferiti profili di incostituzionalita' risultano poi
 tanto piu' gravi ed evidenti  ove  si  consideri  che  la  disciplina
 impugnata   si  scontra  con  un  fondamentale  principio  che  -  ad
 integrazione e svolgimento della disciplina del  titolo  sesto  dello
 statuto  -  e' stabilito dall'art. 5 della legge 30 novembre 1989, n.
 386 (legge, si badi  bene,  adottata  ai  sensi  e  con  la  speciale
 procedura  di  cui all'art. 104 dello statuto). Stabilisce infatti il
 primo comma dell'art. 5 che "Le province  autonome  partecipano  alla
 ripartizione di fondi speciali istituiti per garantire livelli minimi
 di prestazione in modo uniforme su  tutto  il  territorio  nazionale,
 secondo  i  criteri  e  le  modalita'  per  gli  stessi previsti". Ed
 aggiunge il successivo secondo comma che "I finanziamenti  recati  da
 qualunque altra disposizione di legge statale, in cui sia previsto il
 riparto o l'utilizzo a favore  delle  regioni,  sono  assegnati  alle
 province  autonome ed affluiscono al bilancio delle stesse per essere
 utilizzati,   secondo   normative   provinciali,   nell'ambito    del
 corrispondente  settore,  con  riscontro  nei  conti consuntivi delle
 rispettive province".
    In  base a tali principi, dunque, le province autonome non possono
 essere discriminate nell'assegnazione dei fondi in questione, poiche'
 quei principi vogliono appunto garantire l'eguaglianza di trattamento
 delle province autonome rispetto alle altre regioni,  e  cosi'  anche
 l'eguaglianza di trattamento dei cittadini (di tali province e) della
 regione ricorrente, che assieme a tutti gli altri cittadini  italiani
 hanno un eguale diritto alla tutela della salute, ed alle prestazioni
 ed alla efficienza del servizio sanitario nazionale.
    2.  -  Violazione,  da parte degli artt. 18 e 20 del decreto-legge
 impugnato, delle attribuzioni regionali e provinciali e dei  principi
 di cui alle norme costituzionali gia' indicate in precedenza.
    2.1.  -  Non  e'  solo  l'art.  19  del  decreto-legge impugnato a
 riguardare la spesa sanitaria, ma anche l'art. 18 e l'art. 20.
    Quest'ultimo,  in  particolare,  alla lett. e) addirittura esclude
 totalmente le province  autonome  dal  riparto  del  Fondo  sanitario
 nazionale  per  cio'  che riguarda le assegnazioni in conto capitale:
 quindi per il finanziamento di tutta la spesa sanitaria relativa, fra
 l'altro,  alla  manutenzione  straordinaria  delle  strutture,  degli
 impianti e delle attrezzature sanitarie,  al  rinnovo  degli  stessi;
 allo sviluppo ed agli investimenti.
    Quanto  poi  all'art. 18, primo comma, si e' gia' visto come anche
 questo stabilisca la esclusione  delle  province  autonome  da  fondi
 concernenti  la  spesa  sanitaria:  come  il  Fondo per i servizi dei
 consultori familiari (di cui alle leggi nn. 405/1975 e 194/1978), che
 svolgono  in  particolare  anche il servizio di assistenza alla donna
 che voglia interrompere la gravidanza.
    E'  palese  come tutte le censure gia' formulate in precedenza nei
 confronti della disciplina contenuta nell'art. 19  del  decreto-legge
 impugnato  valgono,  a  maggior  ragione,  anche  nei confronti degli
 ulteriori tagli al  finanziamento  della  spesa  sanitaria  stabiliti
 dalle  surrichiamate disposizioni dell'art. 18. Anche in questo caso,
 infatti, si tratta di tagli al finanziamento di spese  ed  oneri,  in
 relazione  ai  quali  le province autonome non ha poteri rilevanti di
 scelta o di  controllo,  pur  dovendo  necessariamente  farvi  fronte
 caricandoli sul proprio bilancio.
    E  tanto  piu'  grave  ed  evidente  - trattandosi non gia' di una
 semplice riduzione, ma di una totale esclusione dai  fondi  -  appare
 poi  il contrasto con il principio stabilito dal gia' richiamato art.
 5 della legge  n.  386/1989,  che  in  ogni  caso  preclude  in  modo
 insuperabile  che  le  province  autonome  possano essere escluse dai
 fondi di cui al primo comma, ed  anche  -  piu'  in  generale  -  dai
 finanziamenti  previsti  per le regioni di cui al secondo comma dello
 stesso art. 5.
    Pertanto  si richiamano integralmente le censure ed argomentazioni
 svolte nel precedente motivo di ricorso, relative alla violazione:
       a)  del  principio della copertura della spesa ex art. 81 della
 Costituzione (ed art. 27 della legge n. 468/1978);
       b)  dall'autonomia  finanziaria  della regione e delle province
 autonome  nelle  materie   di   competenza   in   base   alle   norme
 costituzionali  gia'  richiamate,  ed  in  particolare  in materia di
 assistenza e di sanita' (spec. artt. 8, n. 25, 9, n. 10, 16 e  titolo
 sesto dello statuto; ed art. 5 della legge n. 385/1989);
       c)  degli  artt.  3,  32,  97 e 116 della Costituzione, sotto i
 profili gia'  illustrati,  per  le  irragionevoli  discriminazioni  e
 disfunzioni cui da' luogo la normativa in questione.
    2.2.  -  Ancora  per  quanto  riguarda la disciplina stabilita dal
 primo comma dell'art.  18  del  decreto-legge  impugnato,  merita  di
 essere  particolarmente  sottolineata  la  esclusione  che pure vi e'
 disposta, a carico delle province autonome,  dal  riparto  del  fondo
 nazionale  per il ripiano dei disavanzi di esercizio delle aziende di
 trasporto di cui all'art. 9 della legge n. 151/1981. Come gia' si  e'
 visto,  lo  stesso  primo  comma dell'art. 18 aggiunge che le regioni
 dovranno provvedere alla concessione dei contributi alle  aziende  di
 trasporto   (per   il   ripiano  dei  disavanzi)  "con  propri  mezzi
 finanziari"; e che restano fermi per le regioni  i  principi  di  cui
 alla  legge  n.  151/1981:  fra  cui,  dunque, quello che impone alle
 regioni di intervenire per ripianare (almeno in  parte)  i  disavanzi
 delle aziende di trasporto (artt. 6 e 9 della legge n. 151/1981).
    Invero,  la  formulazione  della  disposizione,  che  si riferisce
 testualmente solo a "Le  predette  regioni..."  dovrebbe  portare  ad
 escludere che essa si applichi anche alle province autonome di Trento
 e Bolzano. Ma nell'ipotesi in  cui  codesta  ecc.ma  Corte  ritenesse
 invece   che   tale   disposizione  vada  diversamente  interpretata,
 estendendola anche alle province autonome, si propongono  allora  nei
 suoi confronti - almeno in via cautelare - le seguenti censure.
    Si  tratta  di  una  disciplina  che incide particolarmente in una
 materia di competenza provinciale di grado primario, quale e'  quella
 in  materia  di trasporti di interesse provinciale di cui all'art. 8,
 n. 18, dello statuto (oltre che in quella pure primaria in materia di
 servizi  pubblici  di  interesse provinciale, ex art. 8, n. 19, dello
 statuto). Anche questa disciplina adottata  alle  province  un  nuovo
 onere senza pero' fornirgli le risorse per fronteggiarlo.
    Pertanto   anche   nei   confronti   di  tale  disciplina  valgono
 integralmente le censure gia' formulate in precedenza  (ivi  compresa
 quella relativa al contrasto con l'art. 5 della legge n. 386/1989), e
 che non e' il caso di ripetere ancora.
    Infatti,  anche  in questo caso ci si trova di fronte ad una spesa
 che attiene (come per il servizio sanitario) all'espletamento  di  un
 servizio  pubblico essenziale quale e' quello dei trasporti diretto a
 soddisfare  -  direttamente  od  indirettamente  -  rilevanti  valori
 costituzionali   (quali   quelli  che  garantiscono  il  diritto  dei
 cittadini ad avere mezzi idonei per circolare sul  territorio,  anche
 per  motivi di lavoro, e per l'esercizio di attivita' economiche). Un
 servizio  il  cui  espletamento  le  province  autonome  sono  dunque
 obbligate  a garantire, pur avendo poteri assai limitati di controllo
 sulla relativa spesa, specie se si considerano i poteri  dello  Stato
 in ordine alla determinazione delle tariffe (cfr. d.-l. 4 marzo 1989,
 n. 77, convertito in legge 5 maggio 1989, n. 160).
    Di conseguenza, per i motivi gia' illustrati in precedenza, non e'
 costituzionalmente  corretto  addossare  alle   (sole)   regioni   ad
 autonomia  speciale  ed  alle  province  autonome  - escludendole dal
 riparto  dell'apposito  fondo  nazionale  -  l'onere  di   ripianare,
 esclusivamente  con  le finanze proprie, i disavanzi delle aziende di
 trasporto  in  questione.  La  incostituzionalita'  della  disciplina
 impugnata  trova  del resto conferma in quanto affermato in argomento
 da codesta ecc.ma Corte nella  sentenza  n.  307/1983  (n.  15  della
 motivazione  in  diritto),  che  pure  dichiaro' incostituzionale una
 analoga norma legislativa dello Stato  che  obbligava  le  regioni  a
 ripianare i deficit delle aziende locali di trasporto attingendo alle
 proprie finanze (anziche' al Fondo nazionale di  cui  alla  legge  n.
 151/1981).
    2.3.  - Infine, come pure si e' visto, l'art. 18, primo comma, del
 decreto-legge impugnato esclude le province autonome dalle erogazioni
 provenienti  dal  fondo speciale per l'esercizio delle funzioni della
 soppressa O.N.M.I. (legge n. 698/1975) e dal fondo per gli asili nido
 (legge  n.  891/1977);  mentre l'art. 20 del decreto-legge impugnato,
 alle lettere da a) a d) esclude le  province  autonome  ed  anche  la
 regione  ricorrente  da  altri  fondi di settore (oltre che da quello
 sanitario di conto capitale, di cui si e' gia' detto in  precedenza).
    Orbene,  per  quanto  riguarda  la  esclusione  delle province dal
 "fondo per  gli  investimenti  nel  settore  dei  trasporti  pubblici
 locali" (art. 20, lett. d), valgono, evidentemente, le stesse censure
 ed argomentazioni gia' svolte in precedenza  (n.  2.2.)  a  proposito
 della esclusione dal fondo per il ripiano dei disavanzi delle aziende
 di trasporto.
    Ma  anche  per  quanto riguarda la esclusione dagli altri fondi di
 cui al primo comma dell'art. 18, come pure da quelli di cui  all'art.
 20  (per  i  programmi  regionali di sviluppo, per l'attuazione degli
 interventi programmati in agricoltura,  per  l'attuazione  del  piano
 forestale nazionale - pur avendo un particolare rilievo, in relazione
 ai relativi interventi regionali e provinciali, anche ulteriori norme
 statutarie  attributive  di  competenze proprie della regione e delle
 province in varie materie (spec. artt. 4, n. 9, ed 8, nn.  21,  25  e
 26)  - si possono formulare censure ed argomentazioni sostanzialmente
 analoghe a quelle gia' svolte in precedenza: specie in considerazione
 del  fatto  che  si  tratta  di  spese  per interventi che la regione
 ricorrente  e  le  province  autonome  sono  tenute  a  svolgere  per
 soddisfare  alle  finalita'  di  pubblico  interesse ad esse affidate
 dallo statuto e dalle leggi, del principio di  non  esclusione  delle
 province  dai  fondi e dai finanziamenti alle regioni ex art. 5 della
 legge n. 386/1989, e della irragionevole  discriminazione  operata  a
 loro  danno dalla disciplina impugnata, che ammette invece al riparto
 del fondo le regioni ad autonomia ordinaria.
    3.  -  Violazione  dell'art.  40,  ultimo  comma,  dello statuto e
 relative norme d'attuazione.
    La  disciplina impugnata riguarda soltanto le regioni ad autonomia
 speciale e le province di Trento e Bolzano, disponendo solo a  carico
 di  esse - e non di tutte le altre regioni - pesanti tagli di risorse
 finanziarie.  Non  vi  e'  dubbio,  quindi,  che  si  tratta  di  una
 disciplina  che  "riguarda" la regione ricorrente. Pertanto, ai sensi
 dell'art. 40, ultimo comma, dello statuto e dell'art. 19  del  d.P.R.
 1›  febbraio  1973,  n. 49, il presidente della regione doveva essere
 convocato per intervenire alla seduta del Consiglio dei Ministri  del
 22  dicembre 1989, in cui venne deliberato il decreto-legge impugnato
 (cosi' come esso era stato doverosamente invitato  a  partecipare  al
 Consiglio  dei Ministri del 29 settembre 1989 per l'esame del disegno
 di legno "di accompagnamento" alla legge finanziaria 1990  intitolato
 "Norme  di  delega in materia di autonomia impositiva delle regioni e
 altre disposizioni concernenti i rapporti finanziari tra lo  Stato  e
 le regioni" - il cui contenuto e' stato poi ripreso dal decreto-legge
 impugnato).
    Ma  il  presidente  della giunta regionale del Trentino-Alto Adige
 non e' stato convocato in occasione della deliberazione del Consiglio
 dei  Ministri  relativa  al decreto-legge in questione. Cio' comporta
 una puntuale  violazione  della  norma  statutaria  e  dell'autonomia
 regionale,   e   quindi   la   incostituzionalita'  della  disciplina
 legislativa impugnata.